L’atteggiamento greco e romano nei confronti dell’ambiente è animato da una visione antropocentrica della natura. Esso alimentò un atteggiamento di tipo dominativo, anche se, sia per la povertà tecnica, sia per il timore di una punizione divina, gli antichi tutelarono l’ambiente dall’eccessiva bramosia umana.
L’azione trasformata
L’azione dell’uomo sulla terra è sempre stata trasformativa, tesa a rendere possibile e migliore la vita, contrastando le avversità in una lotta tutta naturale per la sopravvivenza.
“le crisi ecologiche non sono niente di nuovo non solo nella storia dell’umanità, ma non sono niente di nuovo nemmeno nell’evoluzione biologica. Al contrario, si può dire senza nessuna esagerazione, che la prima crisi ecologica ha avuto inizio con i primi organismi”
(V. HÖSLE, Il problema dell’ambiente nel ventunesimo secolo, in C. QUARTA, 2006, p.76).
La sacralità della natura
Un luogo era protetto se ritenuto sacro, perché protetto dalla paura della punizione degli dei. La possibilità di una punizione divina era continuamente alimentata dalle tragedie greche che ponevano l’attenzione sulla superbia e la tracotanza (hybris) umana. Essa, annebbiando la coscienza, spingeva l’uomo a compiere atti empi che superavano i confini del giusto. Quindi erano da punire come il re Serse nell’opera “Persiani” di Eschilo.
La natura, per quanto utilizzata e sfruttata, era comunque considerata sia dagli ellenici che dai romani, inesauribile. Essa rappresentava la misura con cui l’uomo doveva confrontarsi. Ma, come sosteneva Aristotele, era ridicola qualsiasi pretesa umana di dominio sulla natura, le cui leggi erano poco conosciute dall’uomo antico. Soltanto il lento disvelare con la contemplazione, accompagnata da un’azione tecnica, rese l’umanità capace di liberare progressivamente se stessa dal bisogno.