Il 26 settembre 2022 furono sabotate 3 delle 4 condotte del gasdotto Nord Stream 1 e 2. Era scoppiata da pochi mesi la guerra fra la Federazione Russa e l’Ucraina a seguito dell’invasione del territorio ucraino il 24 febbraio 2022.
La fine del legame energetico fra Russia e nord Europa ha rappresentato il fallimento dell’idea di una diplomazia economica e la contemporanea ascesa di un’economia armata.
La storia di un gasdotto
La storia della costruzione di questo gasdotto inizia nel 1997. Gazprom, azienda multinazionale russa, e Neste Oyj, compagnia finlandese di raffinazione di prodotti petroliferi, crearono una società per la sua realizzazione nel mar Baltico, dalla Russia alla Germania.
L’8 novembre 2011 venne inaugurato alla presenza del cancelliere tedesco Angela Merkel, del presidente russo Dmitrij Medvedev, del primo ministro olandese, ora segretario generale della NATO, Mark Rutte e del primo ministro francese François Fillon. Il Nord Stream 1 misurava 1222 chilometri.
Il gas russo poteva alimentare lo sviluppo europeo ad un costo migliore, permettendo di costruire un percorso sicuro per la transizione energetica. La Germania, inoltre, aveva pianificato già dal 1998 di dismettere le centrali nucleari. Subito dopo l’inaugurazione del Nord Stream, si cominciò a pianificare la progettazione del raddoppio, il futuro Nord Stream 2.
Il Nord Stream 2: la crisi di un modello politico ed economico
L’Ucraina, dal 2014 nuovamente filo-americana, aveva cominciato a criticare il progetto perché le avrebbe impedito di poter utilizzare le royalty dovute al passaggio del gas russo attraverso il gasdotto Jamal. Lo stesso fece la Polonia, che rischiava di perdere sul proprio territorio questa importante fonte di approvvigionamento. Ma il maggiore oppositore alla sua costruzione furono gli Stati Uniti. Infatti, sia i repubblicani che i democratici ritenevano la dipendenza europea, e tedesca, dal gas russo un pericolo per la NATO. Un rischio da scongiurare nel momento di aspro confronto con la Cina.
Nel mese di febbraio 2022, il nuovo cancelliere tedesco Scholz andò a Washington per incontrare il presidente Biden. Si affrontò anche il tema del gasdotto Nord Stream 2, ormai pronto ad entrare in funzione. La situazione internazionale stava cambiando drammaticamente. Nonostante Scholz sostenesse da ministro delle finanze del governo Merkel la sua costruzione, si trovò nella difficile posizione di dover accondiscendere alle richieste USA.
Le stesse furono riassunte in un articolo di RAI News del 7 febbraio 2022, da una fonte dell’Amministrazione USA che sosteneva che si erano
sempre opposti al Nord Stream 2 considerato un progetto geopolitico della Russia che compromette(va) la sicurezza energetica e la sicurezza nazionale di una parte significativa della comunità euro-atlantica.
Il 22 febbraio 2022 il cancelliere tedesco Olaf Scholz interruppe il processo di approvazione del gasdotto Nord Stream 2, non facendolo così entrare in funzione. Due giorni dopo la Russia invase l’Ucraina.
Dopo alcuni mesi i due gasdotti furono messi fuori uso.
Il fallimento di un’economia cooperativa
Prima dello scoppio della guerra in Ucraina, fu percorsa dagli Stati Uniti e dalla Germania la strada per una composizione politica del problema. Il cancelliere tedesco Angela Merkel aveva accettato un accordo con gli Stati Uniti pur di far entrare in funzione il Nord Stream 2. La Germania lo riteneva una fondamentale garanzia per la sicurezza energetica del paese.
Il 20 luglio 2021 a Washington sembrava chiudersi con Biden uno scontro internazionale iniziato con l’amministrazione Obama e continuato con Trump. La Germania, in cambio del via libera statunitense, aveva garantito il contributo della Russia per i futuri mancati introiti dell’Ucraina, a seguito del mancato uso del gasdotto Jamal, e un finanziamento tedesco per la produzione di energia da fonti rinnovabili.
La ricerca di un compromesso economico internazionale percorso dalla Merkel non rassicurò gli Stati Uniti e la Russia. Nessuno voleva correre il rischio di perdere la propria sfera di influenza politica in Europa. L’utilizzo di un’economia cooperativa per costruire le relazioni internazionali e minimizzare la conflittualità, propria dell’esperienza politica dell’Unione Europea, purtroppo fallì. La Germania, come gli altri paesi fondatori della CECA e, successivamente della CEE, avevano sempre cercato di superare le controversie attraverso la cooperazione. Erano memori della crisi tra Francia e Germania dal 1923 al 1925 a causa della Ruhr.
Ma negli ultimi venti anni si è ritornati ad un’economia armata e all’uso della forza.
L’energia per un’economia di guerra
L’attuale sviluppo economico, soprattutto dopo l’avvento della rete internet, è sempre più veloce ed energivoro. La concorrenza è divenuta sempre più forte e l’energia serve per sostenere lo sforzo economico di ogni nazione per mantenere la propria leadership ed il proprio benessere. In un mondo sempre più complesso, le scelte energetiche possono determinare la crisi di una potenza.
L’invasione russa e la successiva controrisposta della NATO sono il prodotto di un’economia che ha cambiato atteggiamento rispetto alle modalità della cooperazione per lo sfruttamento delle risorse. Si è passati dall’illusione del multilateralismo internazionale per risolvere i conflitti alla possibilità del confronto armato.
Evidenza di questo percorso di corsa alle armi si ha guardando i dati del SIPRI, prestigioso istituto svedese di ricerche sulla pace. Le spese sono aumentate esponenzialmente negli ultimi venti anni a livello mondiale, con un’accelerazione improvvisa.
Lo sviluppo sembra ormai affidarsi ad una economia armata che ragiona in una logica binaria, tipica di quest’epoca digitale, in cui la realtà si chiude in due numeri lo zero e l’uno. Tertium non datur.
La trasformazione digitale ha acceso uno scontro che asseconda la natura umana di vincere ad ogni costo, anche piegando la tecnologia. Anche con la creazione di armi tecnologiche letali che usano l’intelligenza artificiale per individuare e valutare autonomamente la possibile distruzione di obiettivi militari, come le LAWS.
Tutto questo enorme sforzo distruttivo ha bisogno di energia. L’economia armata ha, quindi, necessità di approvvigionarsi. Questo genera una crisi umanitaria, con lo sfruttamento di milioni di persone affamate costrette ad emigrare, e una crisi ecologica, con il drenaggio di risorse dalla transizione alla produzione di armi.
Lo dimostra lo scontro sorto attorno al gasdotto Nord Stream. Stati Uniti e Russia hanno acceso un conflitto per alimentare il loro sviluppo predatorio alla base di un’economia del profitto ad ogni costo. Un’economia che distrugge il tessuto sociale interno ad ogni nazione e i corpi sociali critici come i sindacati e i movimenti sociali. Contemporaneamente, rende inutili tutti quegli organismi internazionali votati a comporre pacificamente le controversie internazionali.
La speranza ed il rischio atomico
Il mondo è entrato in una spirale di conflitto che, nell’attuale era atomica, potrebbe portare alla fine della presenza umana sulla terra. Per questo bisogna continuare a contrastare questa economia che uccide. Bisogna rendere impossibile alle multinazionali che producono armi di esportarle in contesti di guerra o verso paesi che opprimono il dissenso.
Diviene necessario, parallelamente, favorire la produzione di energia rinnovabile abbandonando le fonti fossili. Ma bisogna evitare la concentrazione della produzione, cominciando a costruire una realtà produttiva diffusa sui territori.
Questo articolo è stato pubblicato sul n.16 della rivista Ciclostile, il cui numero è disponibile qui.