“Abbiamo concluso la sessione plenaria a Roma e i paesi hanno descritto questo vertice come una pietra miliare nella storia della biodiversità. Da Cali a Roma, abbiamo raggiunto accordi che il mondo aspettava da 30 anni.”
Così in un messaggio sui social la presidente della 16° Conferenza delle Nazioni Unite sulla Biodiversità, Susana Muhamad, ha sintetizzato la fine dei lavori fra gli applausi dei delegati. Iniziata a Cali il 21 ottobre e non conclusasi positivamente il 1° novembre, la seconda fase a Roma ha posto una conclusione positiva a questa sessione, con il raggiungimento degli obiettivi prefissati, dando vita al primo fondo esclusivo per finanziare la biodiversità e approvando il piano di monitoraggio per misurare i progressi dei 23 obiettivi entro il 2030.
Cos’è la Convenzione sulla diversità biologica?
La Convenzione sulla diversità biologica, in inglese Convention on Biological Diversity (CBD), è un trattato internazionale del 1992 per la tutela della biodiversità, l’utilizzazione durevole dei suoi elementi e la ripartizione giusta dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento delle risorse genetiche.
La Convenzione fu adottata a Nairobi, in Kenya, il 22 maggio 1992, ed è stata ratificata da 196 paesi, ad esclusione dello Stato del Vaticano e degli Stati Uniti d’America. Questi ultimi hanno firmato ma non ratificato la Convenzione.
La COP15 e il Quadro Globale per la Biodiversità di Kunming-Montreal
La COP16 doveva confrontarsi con gli impegni conseguenti all’esito dell’Accordo quadro globale sulla Biodiversità di Kunming-Montreal. La COP15 si era tenuta in modo virtuale a Kunming in Cina nel 2020, per via del Covid-19, con scarsi risultati, ma la seconda parte a Montreal riuscì a tradurre le affermazioni del segretario dell’ONU Antonio Guterres che disse di ritenere fondamentale un patto che segnasse una pace fra l’umanità e la natura. Sono stati firmati 6 documenti e un impegno da parte delle maggiori aree metropolitane per proteggere la biodiversità.

Il più importante documento fu l’Accordo quadro globale sulla Biodiversità di Kunming-Montreal (KMGBF), il quale aveva bisogno di essere sviluppato con i fondi in grado di rendere possibili gli obiettivi sfidanti.
La COP16 di Cali e di Roma
La mancata conclusione a Cali e la conseguente delusione ha reso necessario un secondo tempo per la conferenza, che si è tenuta a Roma. I delegati a Cali non avevano concluso i lavori e avevano lasciato la conferenza senza raggiungere alcun obiettivo per far progredire l’attuazione del Quadro Globale per la Biodiversità di Kunming-Montreal. Sembrava che l’approccio multilaterale, soprattutto dopo la vittoria delle presidenziali USA da parte di Donald Trump, dovesse naufragare.





Invece a Roma il percorso è ripreso. Sono state approvate:
- Una strategia per la mobilitazione delle risorse al fine di raggiungere l’obiettivo di almeno 200 miliardi di dollari all’anno entro il 2030, inclusi 20 miliardi di dollari all’anno di flussi internazionali entro il 2025, salendo a 30 miliardi di dollari entro il 2030;
- Una tabella di marcia per designare il meccanismo finanziario permanente della Convenzione fino alle future COP17 e COP18, importante per la riduzione del deficit di finanziamento della biodiversità al 2030;
- Le parti hanno concordato il modo in cui saranno costruiti e usati gli indicatori per la misurazione e monitoraggio dei progressi, attraverso dati aggregati in grado di restituire un quadro globale dell’attuazione del KMGBF con la previsione della nomina di un segretario esecutivo;
- Istituzione di un organismo interno in grado di garantire una maggiore partecipazione dei Popoli Indigeni e delle Comunità Locali a tutti i processi della Convenzione;
- La creazione del Fondo Cali per la condivisione giusta ed equa dei benefici dall’uso di Digital Sequence Information on Genetic Resources (DSI), il quale rappresenta una più equa condivisione dei benefici derivanti dall’uso delle informazioni di sequenza digitale sulle risorse genetiche.
Un finale positivo per il multilateralismo e per la pace
Le parole finali di Susana Muhamad, politica colombiana di origini palestinesi, sono un incoraggiamento a continuare nella faticosa strada di costruzione del diritto internazionale in grado di tutelare i più deboli e la casa comune dagli appetiti del capitalismo finanziario. I più deboli sono i popoli nativi e incontattati, i luoghi degradati e poveri, i quali divengono facile preda di uno sviluppo insostenibile che ha dichiarato guerra alla natura e all’umanità. Uno spirito che anima la politica internazionale e che trova nella tecnocrazia, come quella della Silicon Valley, un alleato fondamentale per soffocare la libertà e la democrazia.
La democrazia continua qui, da questo sforzo comunitario. Anche se difficile.