Questo articolo sui movimenti del NO, il secondo di una serie di tre, nasce dalla preparazione per la partecipazione a “Il Lunedì di Città Nuova del 15 marzo dedicato a “Pfas nell’acqua, Terra dei fuochi e transizione ecologica”. Le istanze di riconversione ecologica e bonifica dei siti inquinati proposte dai movimenti del NO sono due azioni importanti per porre le basi di una possibile transizione ecologica che si basi sullo sviluppo integrale.
Transizione ecologica o il “solito” sviluppo sostenibile?
Ci troviamo ad un bivio: o cambiamo realmente iniziando con i soldi previsti dal Next Generation EU, oppure continueremo il percorso disegnato con lo sviluppo sostenibile negli anni Ottanta, finanziando le imprese, che adotteranno soluzioni che non sono riuscite ad affrontare la crisi ecologica.
Precauzione e Responsabilità
La domanda a cui dobbiamo rispondere è: “che vogliamo fare?” I movimenti del NO indicano con la loro azione un sentiero da percorrere seguendo due principi cardine: il principio di precauzione ed il principio responsabilità.
Due principi scomodi
Ma bisogna dirselo chiaramente, questi principi sono visti come un freno allo sviluppo economico, alla crescita economica, in quanto frenerebbero l’innovazione che rappresenta la base dell’attuale società dei consumi. Nonostante vengano spesso citati, sono sempre aggirati perché rappresentano un freno allo sviluppo ad ogni costo.
L’insostenibilità della società dei consumi
Qui sorge un’altra domanda: la società dei consumi ci ha condotto alla crisi ecologica, se ne può uscire attraverso una società dei consumi verde? La risposta della transizione ecologica è NO, perché la produttività e la ricchezza passerà attraverso un’economia a più alta manodopera specializzata, con una tecnologia non più usa e getta, ma con un lungo ciclo di vita.
Agire perché #tuttoèconnesso e #tuttomimporta
La risposta dei partecipanti ai movimenti del NO, che hanno sentito e visto l’effetto dello sviluppo senza limiti sulla loro salute e sul territorio in cui vivono, è che bisogna cambiare partendo dal locale, per creare una fase transitoria che possa condurre ad una prosperità diversa rispetto a quella del consumo ed accumulo senza alcun senso, se non per pochi. Partendo dal locale, ci si può connettere con tutta l’umanità.
Il principio precauzione: un freno per chi e per cosa?
A proposito del principio di precauzione, vorrei condividere una considerazione ripresa dall’Agenzia Europea dell’Ambiente (documento della EEA “Late lessons from early warnings: the precautionary principle 1896–2000”) che racconta meglio di mille definizioni cos’è il principio precauzione:
Nel 1898 Lucy Deane, una ispettrice del lavoro inglese, nel suo rapporto osservò che i dannosi effetti della polvere di asbesto sono stati anche indagati in un esame microscopico dell’Ispettorato Medico inglese. Si manifestò chiaramente la natura tagliente come un vetro e dentellata delle particelle, e se gli si consentisse di sollevarsi e rimanere sospese in una stanza, avrebbero degli effetti pericolosi più di quanto si possa prevedere (t.d.a.).
Il dubbio sull’amianto ed i suoi effetti sulla salute avrebbero dovuto promuovere ulteriori ricerche per scongiurarne l’uso finché non ci fosse stata la certezza sulla sua salubrità. Dopo 100 anni di utilizzo, prima in Gran Bretagna e, successivamente nell’Unione Europea, si è deciso di vietarne l’uso perché cancerogeno. Intanto chi aveva lucrato sul suo uso, si è arricchito a norma di legge, ed i costi si scaricano sulla società e su chi ha pagato con la vita, perché le eventuali condanne non restituiranno mai un essere umano alla vita.
Il principio precauzione negato… per precauzione
Il principio di precauzione, oggi, è ancora uno sconosciuto nella sua applicazione in ambito di Valutazione di Impatto Ambientale/Autorizzazione Integrata Ambientale/Valutazione Ambientale Strategica. Un esempio di quanto affermato lo si può leggere in un passaggio di una delle tante Autorizzazioni Integrate Ambientale (AIA):
Non possono essere oggetto di valutazione sanitaria ipotesi di effetti basati su informazioni con insufficiente o incompleta documentazione scientifica o da fonti informative non accreditate. Il principio di precauzione può esser invocato se esistono almeno ipotesi scientifiche ragionevolmente accreditate e comunque si applicherebbe in generale a tutti i casi e non solo ad uno specifico. Si raccomanda fortemente, comunque, la realizzazione e lo sviluppo del programma di sorveglianza epidemiologica ed ambientale necessario per valutare empiricamente gli effetti futuri
Le istanze dei NO: una transizione ecologica integrale
Ecco a cosa servono i NO che fanno la transizione ecologica. Servono a riaccendere la polarizzazione del confronto fra posizioni diverse, al fine di promuovere uno sviluppo integrale che non sia uno STOP a tutto. Anzi, i loro NO tratteggiano un atteggiamento maturo verso la tecnologia, abbandonando l’atteggiamento infantile degli ultimi duecento anni, sfruttato da chi per il profitto ha distrutto casa propria. Questo perché tutto è connesso!
Una considerazione a margine
Gli anni del boom economico forse non sarebbero esistiti se si fosse applicato questo principio, ma ci saremmo risparmiati disastri rimasti nella memoria collettiva:
- il problema dell’inquinamento dei fiumi, dei mari e delle terre irrorate con sostanze tossiche quali il DDT, il PCBs (Poli Cloro Bifenili), PFAS e pesticidi;
- la relazione fra il benzene, usato come solvente nell’industria della gomma, e la leucemia;
- l’amianto e il mesotelioma ai polmoni;
- la mortalità dell’esposizione alle radiazioni ionizzanti;
- il buco nell’ozono e la responsabilità del CFC;
- l’uso di un farmaco che si credeva riducesse i rischi di aborto, il DES (diethylstilboestrol – estrogeni sintetici in utero), che invece favoriva il tumore all’utero nelle figlie;
- l’uso di antibiotici e ormoni sintetici negli allevamenti per favorire la crescita artificiale degli animali;
- la cancerogenicità del biossido di zolfo nelle benzine e nel metano;
- il fenomeno della BSE, Bovine Spongiform Encephalopathy, giornalisticamente conosciuta come morbo della mucca pazza;
- l’affondamento di diverse petroliere nel mondo ed il conseguente elevato danno ambientale;
- le tragedie del Vajont del 1963, di Seveso del 1976, di Bhopal del 1984, di Chernobyl del 1986 e di Fukushima nel 2011.
Ci saremmo risparmiati, inoltre e soprattutto, l’uso anti-umano della bomba atomica sulle città di Hiroshima e Nagasaki.