La scelta dell’immagine del ministro delle finanze inglesi Rishi Sunak alla COP26 con la sua borsa verde non è casuale. Essa rappresenta il simbolo di questi primi giorni: la COP26 è piena di parole e simboli comunicativi, ma manca qualsiasi scelta coraggiosa per costruire una conversione ecologica integrale.
Purtroppo, quella che sembrava una impressione, una sensazione, si sta rivelando nella realtà. La strada è tutta in salita e nessun politico vuole percorrerla, per paura di perdere consensi e le lobbies.
Glasgow 2021
La città di Glasgow sta ospitando da domenica 31 ottobre fino a venerdì 12 novembre la 26° Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Quest’anno la guida della COP26 è toccata alla Gran Bretagna, con la partnership dell’Italia, che ha svolto la preCOP a Milano.
La delusione della COP25 di Madrid
Dopo il fondamentale Accordo di Parigi del 2015, frutto della COP21, che impegnava i paesi partecipanti a mettere in atto politiche attive per limitare l’innalzamento globale della temperatura terrestre al di sotto dei 2°C, al fine di evitare pericolosi cambiamenti climatici, Madrid, non ha prodotto alcun compromesso pratico sui temi più complessi e divisivi, uno tra tutti la regolazione globale del mercato del carbonio. In sostanza non si trovò un accordo sul mercato dei diritti ad inquinare, cioè, semplificando, chi inquina meno vende la propria parte di mancato inquinamento a chi inquina di più raggiungendo assieme gli obiettivi di contenimento delle emissioni. Per questo molte speranze sono state riposte sulla COP26 di Glasgow.
La Youth4Climate e la preCOP26 a Milano
La Youth4Climate, nata da un’idea del ministro dell’ambiente italiano Costa, ha riunito circa 400 giovani tra i 15 e i 29 anni provenienti da 186 Paesi dal 28 al 30 settembre 2021, lanciando i lavori della preCOP26, che si è svolta dal 30 settembre al 2 ottobre 2021.
Il contributo della Youth4Climate è stato più d’immagine che di risultato. I giovani hanno messo per iscritto un’agenda chiara degli impegni che si sarebbero dovuti discutere alla PreCOP e, successivamente, a Glasgow. Ma come hanno sintetizzato le giovani attiviste Greta Thunberg e Vanessa Nakate, le parole e gli impegni generici non hanno portato ad alcun cambiamento, anzi in questi anni il livello di riscaldamento del pianeta è aumentato. La loro richiesta di anticipare al 2030 gli impegni presi per contrastare i cambiamenti climatici, oggi tutti concentrati sulla data limite del 2050, appare molto lontana dalla realtà di Glasgow, in svolgimento in questi giorni.
I lavori della PreCOP hanno disegnato un possibile percorso per i negoziati di Glasgow del mese successivo, ma senza particolare enfasi rispetto ai problemi già conosciuti. Infatti Cina, Russia già annunciavano l’assenza dei loro presidenti dalla COP26. Gli stessi Stati Uniti non mostravano ancora chiari segnali di discontinuità sul piano energetico rispetto alla presidenza Trump. Infatti, se il tema più discusso ruotava attorno al contenimento dell’innalzamento delle temperature al di sotto di 1,5°C, con promesse di impegno da quasi tutti i paesi, la sfida maggiore era incentrata sul superamento dell’utilizzo delle fonti fossili di energia ed, in particolare, del carbone. Altro punto di discussione è stato il fondo da 100 miliardi l’anno per la lotta al cambiamento climatico a partire dal 2020, necessario per la transizione ecologica dei paesi più poveri che non possono economicamente mettere in capo politiche idonee per affrontare il cambiamento climatico.
Il G20 di Roma. La preparazione dei Grandi alla COP26
Il Vertice dei Capi di Stato e di Governo dei Paesi appartenenti al G20 e di alcuni Paesi invitati, oltre ai rappresentanti di alcune delle principali organizzazioni internazionali e regionali, si è riunito a Roma dal 30 al 31 ottobre 2021. ha visto la concentrazione di tutti i paesi maggiormente responsabili dell’inquinamento globale. Hanno partecipato al vertice con un collegamento video il presidente cinese Xi Jinping e il presidente russo Vladimir Putin, ma la loro assenza è stato un segnale negativo, perché è nei corridoi e nei rapporti personali che si stringono accordi e si prendono spesso decisioni che, poi, daranno vita ad accordi stabili.
Le premesse ed i proclami generali non hanno lasciato presagire nulla di concreto in vista della COP26. Come ha affermato la IEA, Agenzia Internazionale dell’Energia dell’OCSE, Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, nel suo annuale World Energy Outlook, con le politiche energetiche attuali raggiungeremo solo il 40% dell’obiettivo net zero promesso per il 2050.
La COP26, tra alti e bassi
Xi Jinping (Cina) e Vladimir Putin (Russia) non hanno partecipato alla Cop26, come avevano già anticipato con la loro assenza fisica al G20. Assenze importanti se si pensa che rappresentano una grande quota dell’inquinamento globale.
Se infatti le parole di tutti i politici hanno ripreso gli slogan e le richieste dei giovani che in questi giorni protestano fuori dai luoghi dove si prendono le decisioni, la traduzione pratica è stata piuttosto deludente. Non ci sarà alcun superamento dell’utilizzo delle fonti fossili prima del 2050. Alcuni paesi sono andati anche oltre questa data, indicando il 2060, come la Russia e la Cina, o il 2070, come l’India.
A questo primo scenario si deve aggiungere che negli Stati Uniti il Presidente Biden non ha trovato l’appoggio del Congresso al suo piano energetico basato sulla sostituzione del carbone e delle fonti fossili con le energie rinnovabili e quella nucleare. Questo ha avuto finora conseguenze sull’esito della Conferenza delle Parti.
Molti paesi, inoltre, hanno presentato durante i loro interventi alla COP26 i loro piani quinquennali di contrasto alla crisi climatica (Nationally Determined Contributions). Una serie di impegni che disegnano una realtà futura fondata sulle promesse che dovranno essere mantenute.
L’Europa, invece, si è presentata diversamente. Ha un piano forte di contrasto ai cambiamenti climatici ed appare seriamente impegnata nel percorso. Ma la sua frammentarietà dal punto di vista delle nazioni che la compongono, appare come un limite al pur lodevole sforzo messo in campo.
La Gran Bretagna, padrona di casa della Conferenza, sta provando in tutti i modi a rendere Glasgow un punto di partenza per un nuovo corso, che sappia tener conto anche delle proteste globali dei giovani del Fridays For Future. Ma sembra farlo solo dal punto di vista mediatico.
Un primo risultato della COP ha visto coinvolti 114 paesi, che rappresentano l’85% delle foreste mondiali, tra cui Brasile, Repubblica Democratica del Congo, Canada, Russia e Indonesia, i quali hanno preso l’impegno di mettere fine alla deforestazione entro il 2030, con il “Cop26 Zero-Deforestation Pledge”. Ma, a dimostrazione che questi accordi sono solo dichiarazioni di principio, l’Indonesia, dopo pochi giorni dall’adesione ha rigettato i tempi, dichiarando che non li potrà rispettare.
É stato promosso un patto fra 77 soggetti per eliminare il carbone come fonte di produzione energetica e una dichiarazione per fermare dal 2022 i sussidi pubblici al settore internazionale dell’energia prodotta da combustibili fossili. Al patto hanno aderito solo 46 Paesi, tra cui l’Italia, la Polonia, l’Ucraina, l’Indonesia ed il Vietnam, che si sono impegnati a spegnere le centrali a carbone ed a smettere di costruirne nuove entro i prossimi 10-20 anni. Ma gli impianti oggetto dell’accordo sono quelli sprovvisti dei costosi sistemi di cattura e stoccaggio (Ccs) della CO2. Restano fuori dal patto tre paesi fondamentali: USA, Cina e India. La Cina e l’India rappresentano i paesi che al mondo utilizzano più di altri il carbone come fonte di produzione di energia. Per la prima rappresenta il 66% del mix energetico, per la seconda il 44%.
La dichiarazione, invece, è stata firmata da soli 25 soggetti, tra cui l’Italia, che ha aderito all’ultimo secondo. Questa rappresenta un primo segnale sulla politica estera energetica dei firmatari, che non potrà più fondarsi sui combustibili fossili, compreso il gas ed il petrolio, ma dovrà finanziare iniziative tendenti alla produzione mediante fonti energetiche rinnovabili o, climaticamente, neutrali. Questo impegno, in Italia, potrebbe accelerare la trasformazione delle società controllate dallo Stato attive nell’approvvigionamento dei combustibili fossili, in particolare gas e petrolio.
Senza unità di intenti nella fraternità fra i popoli, le COP sono solo un costoso termometro.
Le discussioni intergovernative per il raggiungimento pratico di obiettivi necessari per uno sviluppo integrale capace di rispondere alle necessità del presente, limitando gli effetti per le generazioni sono molto lontane da qualsiasi obiettivo. Questo perché manca fondamentalmente la volontà globale di cambiare. I paesi ricchi, gli USA, la UE, la Russia, la Cina, l’Australia, il Giappone e la Corea del Sud, non vogliono pagare il conto per i paesi che ora stanno emergendo, che vogliono limitare il loro sviluppo capitalistico, con tutte le aspettative di benessere e abbondanza. Intanto le risorse scarseggiano e in un mondo in guerra per il controllo delle materie prime, dove aumentano le spese per l’acquisto di armi di ogni genere, anche nucleari, non è facile fare accordi che potrebbero far perdere un vantaggio competitivo. Manca la condizione essenziale per la riuscita della COP, la ricerca dell’unità sulla costruzione di un mondo in pace, animato da uno spirito di fraternità nella comune sfida alla crisi umana ed ecologica che stiamo vivendo. Per questo, le COP, possono raggiungere buoni obiettivi pratici immediati, su argomenti limitati, ma mancano di risolvere il problema climatico nella sua integralità. La conversione ecologica non sembra essere ancora partita a Glasgow.