Guardiamo alla stalla, luce di speranza in questo Natale, per rompere le catene e costruire il bello!
L’inizio di tutto
“In principio Dio creò il cielo e la terra. (…) Dio disse: <<Vi sia la luce!>>. E apparve la luce. Dio vide che la luce era bella e separò la luce dalle tenebre.” (Genesi, 1, 3-4)
Il bello
Il bello, come luce dell’umanità. Nella Genesi il bello viene sempre accostato alla creazione, come suo risultato, infatti in tutto il primo capitolo ritorna la frase: “E Dio vide che era bello”. Una luce che ha bisogno, però, anche delle tenebre per potere illuminare la speranza nella quotidianità.
La terra
“Allora Dio, il Signore, prese dal suolo un po’ di terra e, con quella, plasmò l’uomo. Gli soffiò nelle narici un alito vitale e l’uomo diventò una creatura vivente” (Genesi, 2, 7).
La nostra origine affonda pienamente nella terra, fa questa nostra genesi nasce il rispetto che dobbiamo alla nostra casa comune.
Il rischio della gabbia
Siamo una società disordinata, piegata su se stessa, vittima del proprio “io”. Viviamo il presente con la velocità di un tweet. Siamo Golia e disprezziamo Davide. La nascita di questo Bambino, come ogni anno, ci annuncia la speranza della luce.
Un annuncio accolto dagli ultimi, i pastori, nascendo in una stalla. Povero fra i poveri. In una società dell’opulenza, come la nostra, fortificata per escludere gli ultimi, gli stranieri, i poveri, gli anziani.
Questa società, giustamente scossa dalla pandemia, rischia di chiudersi ancora di più al messaggio di speranza della luce di Cristo, per abbracciare una vita fatta di consumo, esclusione e tenebra.
Rompere le sbarre
Per uscirne, dobbiamo riprendere Isaia, rompere le sbarre che ci chiudono in una fortezza e guardare alla terra, alla sua bellezza. Dobbiamo guardare al futuro trasformando le armi in aratri per coltivare la terra, non per distruggerla. La luce passa attraverso la costruzione della pace e la cura responsabile della casa comune.