COP28 di Dubai, passi in avanti ma vaghi

COP28 di Dubai, passi in avanti ma vaghi

La 28° Conferenza delle parti quest’anno si è tenuta a Dubai (Emirati Arabi Uniti) dal 30 novembre al 12 dicembre. Ma le trattative, come consuetudine, si sono protratte fino al 13 dicembre. Giorno in cui è stato approvato il documento finale, importante per l’uscita dai combustibili fossili già a partire dal 2030 ed il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050. Ma le misure, vaghe e indefinite, soddisfano solo le pretese dell’industria fossile.

Un avvio difficile

La COP28 di Dubai non era iniziata nei migliori dei modi per diversi motivi:

  • il paese ospitante è uno dei maggiori produttori di petrolio;
  • il presidente della COP28, Sultan Ahmed Al Jaber, è anche amministratore delegato e direttore generale della Abu Dhabi National Oil Company, la più grande compagnia produttrice di petrolio e gas del paese, nonché un membro del governo;
  • gli Emirati Arabi Uniti, come l’Egitto, sono un paese dove la libera espressione della società civile, ed in particolare dei movimenti giovanili, è impossibile.
  • Le uniche manifestazioni si sono potute tenere nell’area limitata sotto il controllo dell’ONU durante lo svolgimento della conferenza.

Come ci eravamo lasciati alla COP27 di Sharm el-Sheikh in Egitto

Il testo conclusivo della COP27 aveva istituito genericamente il fondo “Loss and damage”. Ultimo dei tre pilastri dell’Accordo di Parigi, assieme a Mitigazione e Adattamento, serve per finanziare i danni arrecati ai paesi in via di sviluppo dai cambiamenti climatici. Ler regole di funzionamento del fondo, non definite a Sharm el-Sheikh, erano state rinviate alla COP di Dubai, perché mancavano delle parti fondamentali:

  • le modalità di finanziamento;
  • da chi sarebbe stato finanziato;
  • quali sarebbero stati i paesi beneficiari.

La Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), infatti, adottata nel 1992 e base delle COP, considera ancora la Cina fra i paesi “in via di sviluppo”.

Mancavano, inoltre, regole certe sulla decarbonizzazione e regole comuni e condivise con cui valutare i progressi dei paesi nel raggiungimento degli obiettivi dell’accordo di Parigi del 2015, il Global Stocktake (GST).

Sultan Ahmed Al Jaber e le dichiarazioni negazioniste

Il giornale “The Guardian” il 3 dicembre, durante lo svolgimento della COP28, ha pubblicato un articolo su un evento on-line del 21 novembre, “She Changes Climate”. Partecipavano Mary Robinson, presidente del gruppo Elders ed ex inviata speciale delle Nazioni Unite per il cambiamento climatico, ed al Jaber, presidente di COP28. Le affermazioni del presidente della Conferenza delle parti di Dubai non lasciavano dubbi sul suo pensiero:

“Ho accettato di venire a questo meeting per avere una conversazione sobria e matura. Non mi inscrivo in alcun modo a nessuna discussione allarmistica. Non esiste alcuna evidenza scientifica, né alcuno scenario, che affermi che l’eliminazione graduale dei combustibili fossili permetterà di raggiungere l’obiettivo di 1,5° C” e, per chiarire ancora meglio il proprio pensiero sulla roadmap per l’eliminazione graduale dei combustibili fossili, ha invitato tutti ad evitare di “riportare il mondo all’epoca delle caverne”.

COP28, alcuni numeri per capire

La partecipazione a questa conferenza è stata da record. Hanno partecipato 97,000 politici, diplomatici, giornalisti e attivisti per il clima, oltre a circa 2.500 lobbysti in rappresentanza degli interessi delle industrie fossili. Alla COP26 i lobbysti erano circa 500, alla COP27 erano più di 600. Questo dato fa capire che l’interesse di queste industrie per le conferenze è aumentato nel tempo. In Egitto e negli Emirati Arabi Uniti hanno lavorato in un ambiente più amichevole, intervenendo pesantemente e in modo competente nei lavori fra le parti.

Loss and damage: il primo giorno si inizia bene.

La COP28 è iniziata subito con un risultato importante: il fondo Loss and damage è stato reso operativo presso la Banca Mondiale. Alcuni paesi hanno cominciato a dichiarare l’ammontare del loro contributo volontario. Gli Emirati Arabi Uniti, la Germania, l’Italia e la Francia verseranno 100 milioni di dollari. La Gran Bretagna ne verserà 76,5 milioni. Questo è un fondo fondamentale per aiutare i paesi in via di sviluppo che subiscono gli effetti dei cambiamenti climatici. Finanzieranno il fondo anche i paesi produttori di carbone, petrolio e gas oltre alle economie emergenti, superando così i problemi legati alla definizione di paesi in via di sviluppo del 1992. Anche la Cina dovrà diventare, quindi, un paese contribuitore.

COP28, chi ha vinto:
  • La presidenza della COP28 che, nonostante le critiche, ha fatto approvare il fondo “Loss and damage”, il “phase out” dalle fonti fossili ed il Global Stocktake (GST), il Bilancio Globale previsto dall’Accordo di Parigi del 2015. Inoltre, ha ottenuto che gli impegni presi dalle parti della Conferenza siano vaghi e senza obbligazioni chiare, accontentando le compagnie industriali fossili.
  • La Cina, il più grande emettitore di gas serra, ha ottenuto di poter continuare a costruire centrali a carbone.
  • Gli Stati Uniti, il secondo emettitore di gas serra e il primo produttore di petrolio, contribuirà con soli 24,5 milioni di dollari al finanziamento del fondo “Loss and damage”.
  • Le compagnie produttrici di energie rinnovabili, che hanno ottenuto l’impegno di 118 governi presenti alla COP28 di triplicare la loro produzione da queste fonti entro il 2030.
COP28, chi ha perso.
  • L’obiettivo di limitare il riscaldamento climatico globale a 1,5° C è formalmente rimasto come obiettivo. Ma le decisioni prese, senza impegni stringenti, non garantiscono una roadmap strutturata per raggiungere questo obiettivo. Gli stati parte della Alliance of Small Island States, i più vulnerabili dall’aumento del livello dei mari, hanno visto peggiorare le loro possibilità di continuare a vivere nelle loro isole. Di fronte all’uscita del primo testo finale, rigettato, hanno affermato che “non vogliamo firmare il nostro certificato di morte. Noi non firmeremo un testo che non prenda impegni stringenti sull’uscita dai combustibili fossili”.
  • Lo stesso fondo “Loss and damage” è un obiettivo importante. Ma senza cospicui contributi dei paesi più ricchi per finanziare la transizione ecologica dei paesi più poveri, rimane solo un cerotto per sanare le numerose ferite provocate dall’enorme inquinamento dei paesi più industrializzati.
  • Le giovani generazioni e gli scienziati, perché i 198 paesi parte della Conferenza, nonostante gli impegni, continueranno ad operare in un’economia di sviluppo basata sullo sfruttamento delle risorse fossili.
  • In ultimo, ha perso credibilità anche il Brasile di Lula. Dopo le ovazioni  ricevute alla COP27, ha deciso di entrare, a margine della conferenza, nell’OPEC, l’Organizzazione dei Paesi Esportatori del Petrolio, () divenendo parte di quei paesi che contribuiscono a rallentare le COP. Questo ingresso pone un velo di sfiducia sul suo ruolo nel 2025 come paese organizzatore della COP30.

Un finale migliore delle previsioni, in apparenza

Il 13 dicembre 2023, i 198 paesi della COP28 hanno finalmente trovato un accordo sul testo per la fine dell’era dei combustibili fossili nel 2030, con l’obiettivo di arrivare alla neutralità climatica al 2050.

Il documento finale affronta il tema del “phase out” dalle fonti fossili attraverso il ricorso alle fonti rinnovabile, all’energia nucleare come fonte secondaria e, per quella parte di energia prodotta da fonti fossili non ancora eliminabili, mediante l’utilizzo della tecnologia CCS, Carbon Capture and Storage. Questa tecnologia, però, è ancora troppo costosa e poco efficace.

Inoltre, è stato finalmente introdotto il Global Stocktake (GST), il Bilancio Globale con il quale si potranno valutare i progressi ottenuti dai vari paesi per rispondere alla crisi climatica in atto, secondo le misure dell’Accordo di Parigi del 2015. Ma il tutto rimane poco definito e, soprattutto, continuano a non esserci i fondi finanziari sufficienti per la transizione ecologica dei paesi più poveri. Insomma, di storico ci sono solo gli impegni, ma mancano i fatti.

La terza guerra mondiale e la COP28

Il processo decisionale è stato ulteriormente rallentato nelle decisioni strategiche da un contesto mondiale sempre più problematico. Gaza e l’Ucraina hanno occupato le discussioni degli incontri bilaterali fra gli stati, minando quella fiducia necessaria affinché si costruiscano e, successivamente si rispettino i patti sottoscritti. Un mondo in guerra è il primo ostacolo alla costruzione della transizione ecologica. Un’economia armata sottrae risorse preziose alla costruzione di una conversione ecologica industriale e sociale, allontanando qualsiasi possibilità di effettiva mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici.

Non c’è due senza tre: COP29 a Baku (Azerbaijan)

La Conferenza delle Parti del 2024 si terrà a Baku, altro paese produttore di petrolio e gas. Un paese ostile verso la società civile e in conflitto con la vicina Armenia. La scelta segue le regole fissate dall’ONU che prevede un principio di rotazione regionale per le COP. Nel 2024 la regione scelta era l’area dell’Europa dell’Est. La Russia, per il metodo del consenso, ha posto il veto sui paesi del blocco europeo. Rimanevano solo due possibili paesi candidabili, Armenia e Azerbaijan, bloccati anch’essi da un veto reciproco. L’Armenia ha infine deciso di togliere il veto sul paese con cui è in conflitto, lasciando campo libero all’Azerbaijan. Certamente è una scelta in continuità con le precedenti conferenze. Ma non è sicuramente una buona notizia. Ma è fondamentale che partecipino al processo anche questi paesi, al fine di dare efficacia alle decisioni comuni prese in plenaria.

Articolo pubblicato su Città Nuova.


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