Questo conflitto va oltre la difesa dei diritti sindacali e dei lavoratori in una sola azienda, in un solo paese.
Foto di copertina di Roger Turesso – IF Metall ha affisso un grande striscione fuori dallo stabilimento Tesla di Segeltorp con un invito a firmare il contratto collettivo.
Tesla è green? No, se non rispetta anche i diritti dei lavoratori.
La Tesla è il simbolo dell’auto “ecologica”. Ma può essere ecologico un bene che viene prodotto senza rispettare i Contratti Collettivi Nazionali che proteggono i diritti dei lavoratori? L’articolo di Gianni Alioti, ex sindacalista FIM-CISL ed esperto di politiche industriali di riconversione da militare a civile, è l’occasione per iniziare a parlare di Ecologia Integrale, partendo dai diritti degli esseri viventi, primo punto per costruire una reale transizione ecologica.
Ringrazio Gianni Alioti per avermi permesso la pubblicazione dell’articolo anche su questo spazio, essendo già uscito sulla newsletter di PuntoCritico.com del 12 gennaio 2024.
Articolo di Gianni Alioti
Per chi ha cuore il diritto fondamentale dei lavoratori alla contrattazione collettiva e lo stesso futuro del sindacalismo, l’esito del conflitto tra il sindacato svedese IF Metall ed Elon Musk sarà uno spartiacque storico1.
Un buon motivo per tutti i sindacati autentici “di mollare le menate e di mettersi a lottare” (Eugenio Finardi, Musica Ribelle, Cramps 1976) a sostegno della lotta dei lavoratori scandinavi. Meglio se unitariamente, su un minimo denominatore comune. Accantonando (almeno per il momento) differenze d’impostazione e di strategia sindacale.
In gioco c’è il destino prossimo futuro, non solo in Svezia ma in tutto il mondo, del diritto di esistere come sindacati nei luoghi di lavoro. E non è questione di essere più o meno moderati o più o meno radicali, partecipativi o antagonisti, confederali o di base, autonomi o “cinghie di trasmissione”…
Nell’immaginario di Elon Musk il sindacato in azienda (qualsiasi sindacato) non ha diritto di cittadinanza. Nella sua altezzosità antisindacale non c’è spazio per la contrattazione collettiva nella regolazione dei rapporti tra capitale e lavoro. Ma solo relazioni asimmetriche tra il management aziendale e l’individuo lavoratore.
Per questo il conflitto che coinvolge 130 lavoratori della Tesla in Svezia non riguarda solo loro e neppure solo il sindacato IF Metall. È una vera e propria resa dei conti, su scala globale, tra un’idea fermamente antisindacale e l’ideale sindacale. Ideale fortemente radicato nei paesi scandinavi, incentrato sulla contrattazione collettiva e la partecipazione dei lavoratori.
Se la sprezzante politica antisindacale di Elon Musk è riuscita finora ad assicurarsi che nessuno dei lavoratori di Tesla, in nessuna parte del mondo, sia sindacalizzata, si stanno aprendo alcuni varchi. In Germania, due anni fa, gli allora 4 mila dipendenti dello stabilimento Tesla di Grünheide (Berlino-Brandeburgo), diventati a fine 2023 circa 11 mila, hanno costituito il Consiglio Aziendale (Betriebsrat) eleggendo i primi 19 rappresentanti dei lavoratori.
Lo sciopero di Tesla in Svezia
In Svezia, a causa del rifiuto dell’azienda di firmare un contratto collettivo con il sindacato dell’industria IF Metall (il primo tentativo era stato fatto nel 2017) i 130 tecnici, dipendenti della Tesla, hanno iniziato uno sciopero a oltranza il 27 ottobre 2023. Il gruppo Tesla, produttore di auto elettriche, non ha una fabbrica in Svezia, ma dispone di una rete di dieci centri di assistenza.
A partire dal 3 novembre altri 470 lavoratori sindacalizzati di autofficine non concessionarie di Tesla hanno iniziato, come forma di solidarietà, a rifiutarsi di lavorare sui veicoli dell’azienda di Elon Musk.
Che in gioco non ci fosse semplicemente l’esito di una semplice vertenza sindacale aziendale, lo si è capito subito. Nel giro di due settimane altri lavoratori, in tutta la Svezia, si sono uniti in segno di solidarietà ai lavoratori di Tesla.
Tra i primi a muoversi i lavoratori portuali del sindacato dei trasporti. Da metà novembre hanno smesso di scaricare nei porti svedesi le auto importate con brand Tesla. È stata poi la volta del sindacato dei lavoratori elettrici. Ha deciso che i suoi iscritti non sarebbero più intervenuti per riparazioni o manutenzioni nei centri di assistenza e nelle numerose stazioni di ricarica, gestite da Tesla in Svezia.
Anche il potente sindacato svedese degli impiegati dei servizi postali e delle comunicazioni si è unito al movimento di solidarietà. Ha bloccato qualsiasi tipo di consegna ai centri di vendita e assistenza dellaTesla. Ne hanno fatto le spese anche i pezzi di ricambio e, persino, le targhe dei nuovi veicoli immatricolati. La reazione di Elon Musk a questo blocco è stata rabbiosa.
Tesla ha citato in giudizio sia l’Agenzia svedese dei trasporti, chiedendo di poter consegnare direttamente le targhe, sia PostNord, la società che consegna i numeri di immatricolazione. Dopo un primo round vinto, il tribunale si è pronunciato sfavorevolmente alla multinazionale americana. Lo stop imposto dalla protesta sindacale alla spedizione delle targhe non sarà revocato, in attesa della decisione finale sul caso. Questo si traduce di fatto nel congelamento della consegna delle auto Tesla ai clienti del mercato svedese.
Le azioni di solidarietà si sono estese, successivamente, anche tra i lavoratori sindacalizzati delle autocarrozzerie e tra i lavoratori addetti alle pulizie. Gli uni hanno smesso di riparare e verniciare le auto Tesla, gli altri hanno deciso di non raccogliere i rifiuti dai centri di assistenza Tesla. In ultimo anche i dipendenti della Hydro Extrusions, un fornitore del settore automotive che produce profili in alluminio. Da dicembre del 2023 si rifiutano di produrre componenti auto destinati alla fabbrica del gruppo Tesla in Germania.
Tutti i sondaggi di opinione mostrano che le persone in Svezia sono ampiamente favorevoli allo sciopero e alle azioni di boicottaggio della Tesla. “Se vieni in Svezia, devi rispettare certe regole“, ha detto Anders Linde, un impiegato delle poste svedesi e attivista sindacale a Malmö. “Abbiamo lottato per queste regole per generazioni, quindi non vi rinunceremo facilmente”.
Tibor Blömhall, presidente del Tesla Club Sweden2, ha affermato: “Sono molto preoccupato per l’immagine di Tesla in Svezia“. “In qualche modo possedere un’auto Tesla è diventato un problema”. Sui paraurti delle auto Tesla compaiono sempre più adesivi con la scritta: “Ho comprato la mia Tesla prima che Elon diventasse un idiota”.
Il conflitto con Tesla valica i confini svedesi
Il contagio della lotta sindacale dei portuali e camionisti in Svezia, si è esteso poi agli altri paesi scandinavi. Anche in Danimarca i lavoratori portuali non scaricano più i veicoli Tesla in arrivo nei porti. E i camionisti danesi non trasportano le Tesla in Svezia via terra. Jan Villadsen, presidente del sindacato danese dei trasporti 3F che rappresenta 50 mila lavoratori, ha dichiarato che IF Metall e i meccanici svedesi stanno “combattendo una battaglia incredibilmente importante” e quindi hanno il pieno sostegno del suo sindacato. E ha aggiunto, riferendosi a Elon Musk, “anche se sei uno dei più ricchi al mondo, non puoi semplicemente stabilire le tue regole. […] Abbiamo alcuni accordi sul mercato del lavoro nella regione nordica e devi rispettarli se vuoi avviare un’impresa qui. […] Proprio come le aziende, il movimento sindacale è globale nella lotta per proteggere i lavoratori. Con lo sciopero di solidarietà, ora interveniamo per esercitare ulteriore pressione su Tesla. […] La solidarietà è la pietra angolare del movimento sindacale e si estende oltre i confini nazionali. Pertanto, ora stiamo prendendo gli strumenti di cui disponiamo e utilizzandoli per garantire contratti collettivi e condizioni di lavoro eque”.
Dopo i danesi, dal 20 dicembre anche i sindacati finlandesi e norvegesi dei trasporti hanno deciso, finché la vertenza non sarà risolta, di bloccare nei loro porti le auto Tesla destinate al mercato svedese. I blocchi, in solidarietà con il sindacato svedese, hanno il potenziale di interrompere le vendite di Tesla in Svezia, un mercato relativamente piccolo rispetto agli Stati Uniti e alla Cina, ma al quarto posto in Europa dopo la Germania, la Gran Bretagna e la Norvegia.
Nel braccio di ferro con Elon Musk sono in gioco principi profondamente radicati alla base del modello economico dei paesi nordici europei. I contratti collettivi sono sempre stati il fondamento del diritto del lavoro in questi paesi. I sindacati nordici, per più di un secolo, hanno contribuito a definire le condizioni di lavoro dei propri iscritti negoziando con i datori di lavoro e firmando accordi collettivi. E gli stessi Governi, qualsiasi fosse la coalizione politica, hanno sempre preferito questa completa autonomia delle parti sociali, piuttosto che l’intervento legislativo.
Secondo i dati più recenti dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) con sede a Parigi, in media, l’83% di tutti i lavoratori nei cinque paesi (Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia) è coperto dalla contrattazione collettiva. Contro una media tra tutti i paesi OCSE del 38%.
Dopo lo sciopero, investitori in pressing
Dopo le azioni di sciopero e boicottaggio nei confronti della Tesla sono cominciati a sorgere problemi anche sul versante degli investitori istituzionali della regione. Si è schierato un autentico peso massimo, il Fondo sovrano della Norvegia. Con 1.500 miliardi di dollari è il più grande investitore del mondo. A Reuters ha dichiarato che Tesla dovrebbe rispettare i diritti fondamentali del lavoro, compreso quello della contrattazione collettiva.
Norges Bank Investment Management (Nbim), che gestisce il fondo sovrano norvegese, è il settimo maggiore azionista di Tesla con una quota dello 0,88%, del valore di circa 6,8 miliardi di dollari. «Ci aspettiamo che le società in cui investiamo rispettino i diritti umani fondamentali, compresi i diritti del lavoro», ha fatto sapere Nbim. Nell’assemblea degli azionisti di Tesla del 2022 Nbim aveva già sostenuto una proposta, votata dal 32% degli azionisti, che chiedeva a Tesla di adottare una politica di rispetto dei diritti alla libertà di associazione e alla contrattazione collettiva.
Nel frattempo alcuni Fondi pensione, a inizio dicembre, sono passati ai fatti… alla luce dell’estensione del conflitto sindacale in tutta la regione scandinava e del categorico rifiuto di Tesla di negoziare contratti collettivi in qualsiasi paese. Il principale fondo pensione danese PensionDanmark ha venduto le sue azioni in Tesla del valore di circa 70 milioni di dollari. Anche il Paedagoernes Pension, il fondo pensione degli insegnanti danesi, ha venduto la sua partecipazione in Tesla di 35 milioni di dollari. Mentre altri fondi più piccoli, come il Velliv Pension & Livsforsikring e AkademikerPension, hanno chiesto a Tesla di modificare il proprio comportamento.
Nel frattempo in Germania…
In Germania Christiane Benner, nuova leader dell’IG Metall, ha preso di mira la giga-factory Tesla a sud-est di Berlino, ammonendo l’azienda a non tentare di mettere in atto iniziative antisindacali.
Nello stabilimento di Grunheide, la Tesla produce sia batterie, sia il Suv Model Y l’auto più venduta in Europa nel 2023. La Germania è il mercato più grande in Europa per l’azienda, con 55.000 veicoli venduti finora quest’anno, tre volte di più rispetto alla Svezia.
In Germania è vietato promuovere o aderire a scioperi di solidarietà, per cui finora il conflitto con la Tesla in Svezia è stato seguito da bordo campo. Ma non è da escludere che la rilevanza di questa vertenza possa agire da catalizzatore, affinché i lavoratori tedeschi della Tesla si uniscano alla IG Metall nella lotta per il contratto collettivo.
Da più di un anno, i dipendenti di Tesla si lamentano di orari di lavoro estenuanti, carenza di personale e obiettivi di produzione irraggiungibili. Aumentano le segnalazioni di gravi infortuni e problemi di salute correlati al lavoro. In questo contesto si intensifica il lavoro di IG Metall per iscrivere il maggior numero di lavoratori Tesla al sindacato, prima di iniziare uno sciopero. È, fondamentale, per IG Metall poter contare con il sostegno del Consiglio Aziendale eletto dai lavoratori, grazie alla legislazione tedesca.
Ma la pressione non sta crescendo solo in Europa. Anche i sindacati nordamericani sembrano pronti a una nuova spallata.
Aumenta la pressione su Tesla negli Usa
La United Auto Workers (UAW), dopo aver siglato i nuovi contratti collettivi con Ford, General Motors e Stellantis, sta allargando il suo orizzonte organizzativo all’insieme delle Corporates del settore auto negli Usa. Dalle più importanti multinazionali asiatiche ed europee fino alle aziende americane di auto elettriche come Tesla. La transizione verso i veicoli elettrici è una delle maggiori preoccupazioni per i lavoratori dell’auto e dei loro sindacati. Il timore è che le principali aziende del settore la sfruttino per cercare di utilizzare manodopera non sindacalizzata.
Mentre nel 1983 la UAW organizzava 586 mila lavoratori del settore automotive, quel numero ora è di 225 mila (143 mila nelle Big Three di Detroit). Attualmente, la maggior parte dei lavoratori del settore automotive negli Stati Uniti non sono sindacalizzati. Ciò rappresenta una minaccia esistenziale per l’UAW. Le aziende sindacalizzate possono indicare il basso costo del lavoro dei loro concorrenti non sindacalizzati come motivo per non accettare le richieste del sindacato. Nel frattempo, i lavoratori non sindacalizzati del settore auto, concentrati nel Sud degli Stati Uniti, sopravvivono con salari e benefici più bassi.
I dipendenti di Tesla possono oggi vedere la disparità esistente tra i loro salari e quelli pagati alla Ford, GM e Stellantis. Mentre i salari e i benefit in Tesla sono mediamente di circa 45 dollari l’ora, nelle Big Three erano già 66 dollari l’ora prima dei rinnovi contrattuali. Arriveranno fino a 89 dollari grazie al rinnovo del contratto collettivo. A queste differenze economiche si sommano i problemi di sicurezza e il sovraccarico di lavoro, con orari settimanali estenuanti imposti dallo stile manageriale di Elon Musk.
Al contrario dei bassi salari dei tecnici e operai, il proprietario di Tesla incasserà 56 miliardi di dollari di premio se raggiungerà gli obiettivi del suo Long Term Incentive.
Alla domanda del quotidiano finanziario Bloomberg su una potenziale sindacalizzazione di Tesla, il presidente di UAW, Shawn Fain ha risposto riferendosi a Elon Musk: “Possiamo battere chiunque. Si tratterà di decidere se le persone che lavorano per lui vogliono la giusta parte della ricchezza che producono… o se preferiscono che lui voli nello spazio a spese loro”.
Finora Elon Musk è riuscito a contrastare qualsiasi sforzo di sindacalizzazione negli Stati Uniti, ma ora il suo calo di popolarità potrebbe giocare a suo sfavore. A inizio 2023 i lavoratori Tesla di Buffalo, New York, che registrano e classificano i dati dell’Autopilot [il sistema di guida autonoma di Tesla], hanno avviato un’azione di sindacalizzazione chiamata Tesla Workers United. Per impedirlo l’azienda ha licenziato decine di dipendenti. E nel recente passato Tesla ha licenziato illegalmente un attivista sindacale a Fremont, in California durante il tentativo di UAW di sindacalizzare quel stabilimento. Entrambi i casi, sui quali i sindacati hanno ricorso al National Labor Relations Board degli Stati Uniti, sono tuttora in appello.
Adesso, sull’onda dei risultati storici ottenuti nei recenti rinnovi contrattuali con le Big Three, la UAW può contare nella fabbrica di Fremont (circa 20 mila dipendenti) con un comitato organizzativo formato da lavoratori, a cui sta fornendo le risorse necessarie per la campagna di sindacalizzazione. Prima che Tesla acquistasse lo stabilimento nel 2010, Fremont – un’insolita joint venture tra Toyota e GM – era sindacalizzato da UAW. Le due società hanno gestito l’impianto per venticinque anni. GM si ritirò durante la procedura fallimentare del 2009 e Toyota chiuse la fabbrica l’anno successivo. QuandoTesla subentrò, il sindacato non faceva parte dell’accordo. Per UAW questo è il momento migliore per riprovarci.
La “guerra di classe” di Elon Musk contro i sindacati dei lavoratori è globale. Un valido motivo per agire globalmente
Se una grande corporate multinazionale come Tesla, agendo come un signore feudale, riuscisse a non rispettare le regole e non firmare un contratto collettivo in Svezia, nei rapporti tra capitale e lavoro si ristabilirebbe il regno dell’arbitrio. L’utopia rovesciata dei “nuovi padroni” del XXI secolo.
Una prospettiva sognata persino dalla Swedish Enterprise, l’associazione dei datori di lavoro svedesi. Nonostante l’azienda di Elon Musk non faccia parte dell’associazione, si sono schierati con la Tesla. Ciò dimostra quanto i “padroni” non siano più tanto interessati a difendere il modello svedese di relazioni industriali e vedano, nel rifiuto di Tesla di negoziare il contratto collettivo, l’occasione storica del capitale di liberarsi dai vincoli imposti dai sindacati. Una resa dei conti, il cui esito segnerà una pericolosa sconfitta o una storica vittoria, per le conseguenze che avrà sul futuro del lavoro organizzato e del sindacalismo in tutto il mondo3.
A questo proposito il segretario generale di IndustriALL Global Union, il norvegese Atle Høie ha dichiarato: “Il modello di business di Elon Musk è non rispettare i diritti delle persone. Ora si sta scontrando con uno dei nostri sindacati più forti. Dobbiamo sconfiggere il modello di business di Tesla e la Svezia è il posto migliore da cui iniziare”. Come riportato nell’articolo “È tempo di sindacalizzare Tesla” pubblicato dalla rivista «PuntoCritico» la Svezia può essere il punto di partenza, ma non è certo il punto di arrivo.
Le azioni sindacali messe in campo contro Tesla nei paesi scandinavi sono un banco di prova per gli sforzi globali volti a infrangere la rigorosa politica anti-sindacalizzazione di Elon Musk. Vincere in Svezia incoraggerebbe i lavoratori di Tesla sia in Germania (sede, finora, dell’unica fabbrica europea del gruppo), sia negli Usa ad aderire ai sindacati e negoziare un contratto collettivo. Ma sarebbe esistenziale per i sindacati anche nel resto del mondo.
Se i sindacati non saranno in grado di organizzare i lavoratori delle aziende in crescita, che rappresentano il paradigma sia dei cambiamenti in corso nel mondo del lavoro, sia della concentrazione della ricchezza, come Tesla, Amazon, Starbucks ecc. il loro potere è destinato a morire.
Per questo motivo il sindacalismo europeo, e anche quello italiano, devono uscire da un generico sostegno alla lotta dei dipendenti della Tesla in Svezia, che proseguiranno lo sciopero anche nel 2024. Bisogna che i sindacati utilizzino la loro voce collettiva e il potere dei lavoratori che rappresentano in modo più efficace, incisivo. Coordinando una campagna internazionale di solidarietà contro Tesla.
In Italia il gruppo americano è presente con un undici Tesla Store per la vendita e otto Tesla Center per il servizio di assistenza e manutenzione. Inoltre ha aperto 68 Tesla Supercharger per la ricarica veloce delle proprie auto elettriche. Una rete di attività commerciali e di service in cui i sindacati non hanno voce. È forse il momento di mettere in campo azioni dirette nei confronti di Tesla, non escludendo forme di boicottaggio che colpiscano, oltre l’infantilismo arrogante dell’uomo più ricco della terra, soprattutto i suoi affari.
Ci sono lotte sindacali più importanti di altre. Non solo per il loro valore simbolico, ma per le loro conseguenze sul futuro di tutti. Anche per i lavoratori italiani. E la lotta per il contratto collettivo alla Tesla in Svezia è una di queste.
Note:
- Il Gruppo americano Tesla di Elon Musk è il principale produttore al mondo di auto elettriche a zero emissioni, con 1 milione e 300 mila veicoli venduti nel 2022 e 130 mila dipendenti. Il sindacato svedese dell’industria IF Metall organizza 300 mila lavoratori (l’80% di tutta la forza-lavoro dei settori che rappresenta) e dispone di un fondo di solidarietà, per sostenere gli scioperi ad oltranza, di oltre un miliardo di dollari.
- Il Tesla Club Sweden rappresenta 17 mila proprietari di Tesla e appassionati di veicoli elettrici in Svezia.
- La vertenza potrebbe, però, anche concludersi con un pari e patta. Nel caso, ad esempio, che Tesla scegliesse di fare come Amazon. Appaltare le sue attività in Svezia a un’azienda terza, che firmerebbe il contratto collettivo di lavoro. Da un lato verrebbe fatto salvo il principio regolatore del mercato del lavoro nei paesi scandinavi ed Elon Musk non perderebbe la faccia, aprendo le porte nel proprio gruppo alla contrattazione collettiva con i sindacati.